“In America abbiamo la
tradizione del “grande fiume a due cuori”: portare le proprie ferite nella
natura per una cura, una conversione, un riposo o quel che sia. E comee nel
caso di Hemingway, se le ferite non sono troppo gravi, funziona. Ma qui non
siamo nel Michigan (o per quanto, neppure nelle grandi foreste del Mississippi
di Faulkner). Qui siamo in Alaska.” Edward Hoagland, Up the black to Chalkytisik
“La felicità è reale,
solo se condivisa” Tolstoj
“Happines is real, only when shared” Tolstoj
Ok, lo so, sto diventando troppo sentimentale ma ci sono
libri che giuro, non possono proprio mancare a ogni letterato che si rispetti e
Nelle terre estreme di Job Krakauer è uno di questi. Questo libro è una sorta
di inchiesta poco romanzata e molto curata del lungo viaggio che Christopher
McCandless compì negli anni ’90, in seguito alla propria laurea, per staccarsi
dalla sua famiglia e da una società che lui considerava eccessivamente
consumista e soprattutto ipocrita. Ispirato da Thoreau, London e Tolstoj,
Christopher decide di lasciare la civiltà per immergersi completamente nella
natura con scarso equipaggiamento e scegliendo una meta quanto mai ardita:
l’Alaska. Qui, dopo circa quattro mesi dall’inizio di questa sorta di viaggio
della speranza, McCandless verrà ritrovato morto da un cacciatore. Krakauer
grazie l’aiuto dei familiari, degli amici e dei conoscenti ma soprattutto
grazie al diario che McCandless teneva di questa esperienza, cerca di
ricostruire tutti i passaggi di un viaggio lungo due anni attraverso l’America
inseguendo un’utopia che da sempre ha affascinato tutti i grandi letterati dai
tempi di Rousseau: il ritorno alle origini, alla natura. Pagina dopo pagina,
Krakauer ci racconta come McCandless sia solo l’ultimo di una valanga di
avventurieri desiderosi di vivere a contatto con la natura, col proprio Io:
ragazzi che mollano tutto e partono per scalare un monte, ragazzi che finiscono
in un’oasi tra le gole rocciose del deserto americano.. in molti casi, ognuno
con il proprio grado di squilibrio mentale.
L’autore, giornalista, ha ricevuto moltissime lettere di
critica al comportamento di Christopher: era un’idiota, non sapeva cosa stesse facendo,
era troppo impreparato, era un megalomane e via dicendo. Semplicemente, secondo
me, era un’idealista. Ricordo che tra i
numerosi avventurieri ce n’era uno che mi è rimasto particolarmente impresso:
questi era uno studioso di antropologia e aveva deciso di sperimentare su di sé
per decine d’anni se per l’uomo fosse possibile riadattarsi ad uno stile di
vita primitivo. La risposta che ne aveva avuto, dopo aver sacrificato la sua
vita a questo esperimento è stata NO. L’uomo non è più in grado di sopravvivere
in queste condizioni, solo che McCandless non aveva avuto ancora il piacere di
leggerlo su un libro. Dopo aver partecipato a tutte le speranze, i sogni, le
vicende di Chris, dopo aver partecipato all’entusiasmo della partenza o alle
difficoltà del tragitto, ecco che arriva uno studioso di antropologia che ci
dice “No ragazzi, non è possibile, dietrofront e tu, Chris, torna a casa e
trovati un lavoro”. Sarebbe stato forse deludente, ma molto più semplice e io
non avrei pianto come una fontana al finale del film Into the wild.
Mi è piaciuto il fatto che la vicenda non sia stata
romanzata ma sia stata trascritta così come è nata: sottoforma di inchiesta,
con le testimonianze delle persone che Chris ha conosciuto lungo il suo
cammino, i pensieri dei parenti e via dicendo. Lo stile è davvero ottimo, non è
morboso, da rivista scandalistica o da Pomeriggio 5 e questo, a prescindere
dalla drammaticità della vicenda, è piuttosto apprezzabile. La lettura non è
per nulla appesantita dalle vicende dei predecessori utopisti di Chris, anzi,
semmai ne è arricchita.
Un altro aspetto che mi ha fatto davvero commuovere e che
vuole far riflettere è l’ephipany in cui incappa McCandless: “happiness is real only when
shared”. Da quello che ci dicono di lui amici, conoscenti e parenti, Chris non
era un misantropo. Amava stare in compagnia, con gli amici, conoscere persone
nuove… l’unico problema era che affrontava la vita ad un livello differente,
come se nessuno a parte forse sua sorella, riuscisse a capirlo fino in fondo.
Dunque partendo dal presupposto che chiunque gli sia vicino, non lo comprende,
Chris parte e si lascia tutti alle spalle. All’inizio, si viene sopraffatti
dalla Bellezza, in senso filosofico e in senso fisico: cieli e orizzonti
sconfinati, crepuscoli ed albe magnifiche come solo la Natura selvaggia può
regalare, la soddisfazione di un fuoco che riscalda o la felicità di
procacciarsi il cibo. Per un po’, tutto
ciò può bastare. Dopo un paio di anni di viaggio in lungo e in largo per il
continente americano però Chris arriva a questa conclusione: la felicità è
reale solo quand’è condivisa. Cosa vuol dire? Vuol dire che nella vita di un
uomo gli attimi di vera felicità sono pochi e preziosi. E uno di quegli istanti viene raddoppiato
quando si ha la possibilità di condividerlo con un’altra persona. E’ come una
fotografia stampata su due pellicole e potrà essere ricondiviso ogni volta che
si vorrà perché quando gli occhi si incontreranno, quando il reciproco pensiero
si sposterà su quel ricordo, entrambi respireranno lo stesso frammento di
felicità.
Voto: 9
il film è ben fatto, ma, ovviamente, perde molto delle sensazioni e delle emozioni del libro. un libro che inizia come un articolo giornalistico, ma poi diventa un meraviglioso omaggio alla vita di questo ragazzo che ha pagato con la vita la propria inesperienza, ma che ha vissuto l'avventura fino in fondo...tante lacrime su quel volume, ben spese
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